Un docu-film che racconta cinque casi di ingiusta detenzione
Quando parliamo di casi di giustizia non giusta, il primo pensiero va ad un capolavoro del cinema, interpretato da un grandissimo Alberto Sordi.
Il film in questione è “Detenuto in attesa di giudizio”, il racconto del caso di un uomo ingiustamente arrestato e oscenamente sballottato dalla giustizia italiana per mesi, prima di essere liberato senza alcuna scusa.
Impossibile non ricordare la battuta chiave del film, ironica nella sua amarezza, pronunciata da un magistrato che rimprovera, stizzito, il protagonista del film, affermando: “Ma non poteva dirlo prima, che era innocente”?
La storia, nota agli amanti del cinema e non solo, quasi riecheggia fragorosamente in un altro film, “Non voltarti indietro”, diretto magistralmente da Francesco Del Grosso.
Il film, narra la storia di una commercialista, un impiegato postale, uno stilista di moda, un assessore comunale e una dipendente pubblica, tutte accomunate da una vicenda personale.
Cinque persone comuni incarcerate ingiustamente.
Bottaro, Candeloro, Fiumberti, Gallo e Lattanzi sono i protagonisti del film “Non voltarti indietro” che, attraverso un ritratto a più voci, restituisce la misura incolmabile di autentici calvari consumati tra le celle dei penitenziari, le mura domestiche e i tribunali, per poi trovarsi a fare i conti con la rinascita e il tentativo di mettere alle spalle quell’esperienza che ha lasciato ferite che non si rimargineranno mai.
La giustizia come una dea bendata, nella pellicola di Nanni Loi, uscita nel 1971, come in quella di Del Grosso, uscita nelle sale ben quarantacinque anni dopo.
Come dire, nonostante siano trascorsi quasi cinquant’anni, nulla è cambiato. “Non voltarti indietro” racconta cinque storie di persone normali (un impiegato delle poste, un pubblico dipendente, l’assessore di un piccolo Comune, uno stilista, una commercialista), che all’alba di un giorno qualunque, senza nemmeno saperne il perché, si trovano sminuzzati dal tritacarne giudiziario. Sbattuti in cella da innocenti, e come Sordi in attesa di un giudizio di cui non capiscono né le origini né la logica. E in questo stato trascorrono giorni, settimane, mesi.
Le immagini sono state girate in carcere (si riconoscono San Vittore e Rebibbia) si alternano a quelle dei volti delle cinque vittime (la cui fissità dello sguardo ben descrive il terrore evocato dallo sforzo del ricordo), ma anche a disegni in bianco e nero, tanto simili agli schizzi dei cronisti giudiziari americani. I cinque ricordano il loro ingresso nel carcere e la vita all’interno della prigione .
Le immagini feriscono gli occhi, le voci dei cinque restano dentro.
Un film che dovrebbe essere proiettato nelle scuole medie superiori, di certo nella Scuola della Magistratura.
Perché, siamo certi che se la giustizia non portasse una benda negli occhi, rimarrebbe inorridita dagli errori che ha commesso.